Trump cerca il controllo sul petrolio, cosa potrebbe dargli torto

Petrolio maggio 2025
Da Raffaele Costa

INTRODUZIONE

Nel mercato petrolifero attuale si osservano varie fonti di influenza, si va dalle politiche del presidente Donald Trump con la sua spinta a “controllare” i prezzi, al tentativo di opportuni accordi economici e militari con paesi chiave come l’Arabia Saudita, all’attuale fase di stallo nel conflitto in Ucraina fino alla possibilità di un’azione militare di Israele contro l’Iran che, a sua volta, minaccia di interrompere le catene di fornitura attraverso il vitale stretto di Hormuz.

LA CITTÀ NERA

Pare che nel 1846, in Baku attuale capitale dell'Azerbaigian, fu perforato il primo pozzo di petrolio e per questo la città fu apostrofata come città nera.

I risultati passati non sono indicativi di quelli futuri

Oggi il paese si colloca al ventisettesimo posto nella classifica mondiale dei produttori di greggio con 618.000 barili al giorno.

UN MERCATO “PARTICOLARE”

Si tratta di un mercato particolare visto che oggi esiste un cartello che riunisce i principali produttori mondiali i quali, influenzando le leggi del mercato, sono capaci di condizionare il prezzo spot della materia prima.

Dunque, oltre alla potente legge della domanda e dell'offerta secondo i canoni dell'economia classica, su di essa si innestano i comportamenti tendenzialmente “oligopolistici” dei grandi produttori mondiali.

Data source: U.S. Energy Information Administration, International Energy Statistics

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Alcune tra le più importanti economie del settore basano la loro ricchezza e la loro capacità di rispondere alle aspettative della propria popolazione unicamente dalle vicende del petrolio (monocultura economica).

Questo fa capire il perché esista, in intensità mutabile nel tempo, un’influenza sui prezzi correnti, sebbene mediata dal necessario confronto con stati diversi ma ugualmente coinvolti.

Queste sono le ordinarie vicende che avvengono all'interno del variamente declinato cartello Opec.

TRUMP CERCA DI CONTROLLARE I PREZZI DEL GREGGIO

Già in campagna elettorale promette di prendersi cura del ceto medio americano anche riducendo il costo dell'energia.

L’agenda elettorale del presidente Trump prevedeva già, oltre al desiderio di vedere le quotazioni del petrolio più basse, l'uso dei dazi commerciali della come clava per sistemare alcuni squilibri che lui intravede negli Stati Uniti.

Con un programma economico basato sul deficit spending, c'è necessità di bilanciare gli effetti negativi di una generosa spesa pubblica attraverso il controllo dell'inflazione e la ridurre dei tassi di interesse.

In quest'ottica, un prezzo del petrolio decisamente più basso si rivela congeniale nel disegno complessivo vista l’influenza diretta della materia prima sul livello di inflazione.

Fonte: tradingeconomics.com

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Secondo la sua visione, costi energetici più bassi contribuiscono a ridurre l’inflazione facilitando la ripresa economica americana. Oil-prices.com stima che un incremento di 10 dollari per barile produca un aumento di circa 25–30 centesimi per gallone al distributore.

Inoltre, i minori costi per consumatori e imprese dovrebbero indurre la FED ad un atteggiamento più collaborativo portando i tassi d’interesse a livelli più bassi e favorendo in definitiva la competitività della produzione nazionale oltre che la rinnovata disponibilità di risorse finanziarie che sarebbero sottratte al pagamento di interessi monstre sullo stock del debito.

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Tuttavia, come spesso osservato, le determinazioni del presidente Trump, sul piano pratico, si rivelano quanto meno contraddittorie.

In un paese come gli Stati Uniti, ormai il principale produttore mondiale di petrolio con 21,91 milioni di barili al giorno e una quota di mercato del 22%, lo scenario da lui prospettato, a prima vista, cozza decisamente con le aspettative di una ampia e potente lobby petrolifera che dovrebbe essere a lui ben nota.

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In Texas, il principale produttore in America con 41% del totale e storicamente uno stato repubblicano, nelle ultime elezioni il presidente Trump ha vinto aumentando addirittura il consenso rispetto alla precedente elezione che lo ha portato al primo mandato.

La politica energetica del presidente, dunque, lascia più di una perplessità sia sul piano interno che su quello internazionale.

Su quest’ultimo piano, in occasione del suo primo intervento pubblico internazionale, il presidente Trump, con il suo colorito tono perentorio cui ci ha ormai abituati, rende noto che “pretende” una riduzione del prezzo del petrolio promettendo che gli USA estrarranno come non mai (il suo “drill baby drill”) e si stupisce che l’Opec non avesse abbassato i prezzi già prima delle elezioni che lo portano al governo degli USA.

Sul piano interno invece, i bassi prezzi del petrolio non sono ciò che ragionevolmente i produttori statunitensi hanno bisogno, tormentati tra l’altro da un sacco di preoccupazioni dovute alla generale politica di Trump.

Dopo due anni da record, le fusioni e acquisizioni nel settore petrolifero statunitense rallentano anche a causa di una riduzione dei capitali e, guarda caso, di prezzi del greggio più bassi.

Nell’incertezza che domina, esplicativa è l’affermazione dell'amministratore delegato di Exxon, il quale a sottolineare la difficoltà delle aziende nel programmare futuro e investimenti, "uno più uno deve fare tre".

Al riguardo, Ryan Lance, CEO di ConocoPhillips, ha dichiarato che la produzione di scisto statunitense con prezzi intorno ai 60 dollari ristagnerà mentre diminuirà intorno ai 50 dollari.

ACCORDO TRA TRUMP ED ARABIA SAUDITA

Sempre a Davos, Trump annuncia che avrebbe chiesto all’Arabia Saudita, il più grande produttore ed esportatore di greggio all’interno dell’Opec+, di rivedere la politica dei prezzi.

Ma il Principe Saudita nel tentativo di affrancarsi dalla dipendenza del petrolio, ha un ampio e visionario programma (Vision 2030) con cui aumentare la diversificazione delle fonti di ricchezza ed ha disperato bisogno di soldi in cassa, quindi di prezzi del petrolio molto più alti di quelli attuali, certamente non più bassi.

Comunque, recentemente, un accordo senza precedenti firmato sotto la diretta guida di Trump prevede un impegno da parte di Riyadh per investimenti di 600 miliardi di dollari nel sistema economico statunitense.

Tra questi, spiccano accordi economici e militari, tra cui il cosiddetto “deal difensivo” da 142 miliardi di dollari destinato alla fornitura da parte di aziende statunitensi di tecnologie belliche sistemi di ultima generazione.

Inoltre, sono previsti investimenti settoriali per cui, ad esempio, Aramco ha annunciato la firma di un accordo da 3,4 miliardi di dollari per l’espansione di una raffineria in Texas, al fine di integrare la produzione di prodotti chimici con quella di carburanti, e ulteriori accordi che prevedono importanti forniture di gas naturale americano con prospettive di accordi ventennali.

Tuttavia, si tratta di accordi con un partner debole ed in cerca disperata di risollevarsi dalle difficoltà finanziarie e strategiche in cui versa.

Per l’Arabia Saudita in gravi difficoltà, i prezzi sotto ai 100 dollari, rappresentano un serio problema per un’economia che, come detto, dipende sostanzialmente dal petrolio.

Goldman Sachs stima che, solo per quest’anno, il deficit del paese sarà di circa 67 mld di dollari, più del doppio di quanto stimato dollari, più del doppio di quanto stimato dal governo, mentre si alzano significativamente i CDS necessari a coprire il rischio di default del paese.

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A riprova di quanto debole sia il partner energetico degli Stati Uniti, citiamo che oggi i 2/3 dei lavoratori sauditi sono dipendenti pubblici per bilanciare le difficoltà sociali di un’economia assolutamente squilibrata, contro una media globale di circa 18% mentre la Norvegia, la più sbilanciata al riguardo tra i paesi sviluppati, ha solo il 31% di dipendenti pubblici.

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CONTESTO GEOPOLITICO

Il mercato del petrolio non può essere considerato in modo sconnesso dalle dinamiche geopolitiche globali. Attualmente, tre sono gli elementi chiave che caratterizzano il contesto internazionale e che influenzano in modo diretto l’offerta e la domanda di greggio: la prospettiva di una pace tra Russia e Ucraina, l’apertura verso l’Iran e il rischio di un intervento militare da parte di Israele sui siti nucleari iraniani.

La vicenda dell’Iran

Da una parte abbiamo l’Iran le cui vicende, visto che è il terzo produttore tra i membri dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, interessano non poco la faccenda.

Dopo anni di sanzioni che hanno limitato le esportazioni iraniane, l’amministrazione Trump ha tentato di riaprire un dialogo, condizionando però ogni accordo alla cessazione del processo di arricchimento dell’uranio su cui ci sono naturalmente molte resistenze.

Intanto si sono svolti a Roma colloqui, proficui a detta di Trump, proprio sul nucleare mentre le voci di un possibile attacco israeliano allo stesso paese potrebbe compromettere i flussi provenienti dal paese, oltre a rappresentare una rottura evidente con gli USA ed un significativo aumento del rischio di escalation bellica nella regione.

Se le tensioni dovessero aumentare, potremmo assistere a conseguenze negli scambi commerciali con un probabile calo dell'offerta che gli esperti stimano in circa 500.000 barili al giorno che, tuttavia, l'OPEC+ potrebbe compensare abbastanza rapidamente.

La spinosa faccenda della Russia

Per oltre due anni, l'OPEC e i suoi partner dell'Asia centrale, guidati dalla Russia, hanno cercato di far salire i prezzi del petrolio trattenendo l'offerta. Alcuni ci sono riusciti con più successo di altri.

Al riguardo, l’UE ha partorito un nuovo ciclo di sanzioni verso la Russia che mira a limitare ulteriormente l’accesso del paese alle tecnologie militari e a ridurre le entrate derivanti dalle esportazioni di greggio, prendendo di mira un numero senza precedenti di navi della flotta “ombra russa” che si stima trasportino fino all'85% delle esportazioni di petrolio.

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Un rapporto di aprile del Centro per la Ricerca sull'Energia e l'Aria Pulita (CREA) ha rilevato che la flotta ombra russa si sta riducendo e le petroliere ombra hanno trasportato il 65% delle esportazioni di greggio russe ad aprile, in calo rispetto all'81% di gennaio.

Il provvedimento, insieme agli sforzi di paesi partner come Regno Unito e Stati Uniti, sta riducendo significativamente la capacità della Russia di ottenere entrate eludendo il tetto massimo del prezzo del petrolio, rendendo sempre più difficile sostituire le navi sanzionate.

Secondo gli ultimi dati della Oil Price Cap Coalition, si registra una diminuzione dei volumi trasportati e del numero di navi che trasportano petrolio russo, mentre da quando l’Ue ha iniziato a inserire queste navi nell’elenco, le consegne di greggio russo sono diminuite del 76%, le entrate da petrolio e gas passano da 100 miliardi di euro nel 2022 a 22 miliardi di euro nel 2024. Secondo la Commissione Europea, si tratta di una riduzione di quasi l’80% rispetto a prima della guerra.

Inoltre, sembra che L'UE intende proporre ai ministri delle finanze del G7 un tetto massimo di 50 dollari al barile invece di 60 dollari.

Israele bellicoso

Altro elemento di instabilità deriva dalle crescenti preoccupazioni per un possibile attacco di Israele contro le strutture nucleari iraniane.

Nuove informazioni di intelligence, raccolte da fonti statunitensi e riportate da CNN, indicano che Israele starebbe intensificando i propri preparativi militari ciò che suggeriscono un aumento della probabilità di un intervento militare.

Un’azione militare contro le strutture nucleari potrebbe interrompere le vie di approvvigionamento, in particolare lungo lo stretto di Hormuz, attraverso il quale passa circa il 20% delle forniture mondiali ciò che potrebbe facilmente tradursi in un rialzo di prezzi e volatilità, come dimostrato dall’aumento di circa 15% dei prezzi nei giorni successivi ai primi segnali di tensione in passato.

COSA SI PREVEDE PER IL 2025

Complessivamente tra gli esperti prevale la convinzione di un mercato debole per l’anno in corso in coerenza con uno scenario di debolezza economica, o addirittura di recessione, per tutte le vicende menzionate ed in assenza di importanti novità geopolitiche o tecnologiche.

Sul fronte dell’offerta, i dati indicano che la produzione mondiale potrebbe aumentare di 1,6 milioni di barili al giorno (mb/d) portando il totale a circa 104,6 mb/d nel 2025.

Invece, il recente rapporto IEA Oil Market Report stima che la crescita media della domanda globale di petrolio per il 2025 sarà di circa 740.000 barili al giorno, una cifra che seppur in crescita rappresenta un rallentamento rispetto ai picchi registrati nei primi mesi dell'anno, dovuto a una combinazione di crescita più debole e incremento delle vendite di veicoli.

Con la produzione che potrebbe raggiungere il punto di stallo per questo ciclo, mentre le scorte americane continuano ad aumentare, le grandi compagnie petrolifere si stanno concentrando sulla massimizzazione del valore delle acquisizioni passate piuttosto che implementare nuovi progetti di sviluppo con maggiori trivellazioni, come sognate da Trump.

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Con il WTI a circa 60 dollari al barile, la produzione sta per passare da una fase di crescita a un plateau, afferma il CEO di ConocoPhillips.

Infatti, i bassi prezzi e l'incertezza economica stanno facendo sì che la produzione petrolifera statunitense, in particolare nei bacini di scisto, raggiunga un plateau o diminuisca prima del previsto.

A detta degli esperti, se i prezzi del WTI dovessero scendere sotto i 50 dollari, la produzione inizierà a diminuire, a meno di un'altra svolta tecnologica che renderebbe il petrolio conveniente a quei livelli di prezzo.

Ma la realtà è che rimane ben al di sotto di quello che il sondaggio della Fed di Dallas indica come punto di pareggio per i produttori di scisto.

Tuttavia, ci si potrebbe attendere che l'offensiva tariffaria si concluderà con accordi e quello che praticamente tutti vedono come un rischio di recessione imminente si potrebbe attenuare con benefici per una maggiore stabilità dei prezzi ed una migliore capacità dell’economia di programmare il futuro.

Questo da un lato si rivela calmierante per i prezzi, da un altro però comporta certamente un maggior consumo con relativo sostegno dei prezzi.

ANALISI GRAFICA

Per tutto quanto detto, complessivamente il mercato mostra attualmente segnali di debolezza.

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Con i prezzi che si muovono ordinatamente in un canale ribassista.

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Abbiamo una sequenza di massimi e minimi decrescenti che, per ora, certificano il trend ribassista con i prezzi che attualmente gravitano sotto il precedente punto di minimo.

I prezzi di recente si sono portati sotto l’importante area di supporto dei 65$ che, in uno scambio di ruoli, oggi fa da resistenza.

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Il breackout è canonicamente avvenuto con espansione dei volumi a certificare la bontà del movimento da un punto di vista tecnico.

Ovviamente, fintanto che i prezzi non riusciranno a riportarsi sopra i 65$ appena violati, potrebbe essere prudente valutare operazioni in linea con la tendenza, se il contesto resta invariato rendendo accettabili piuttosto operazioni a favore del trend.

Sul time frame settimanale invece possiamo apprezzare alcune cose più utili sul piano operativo.

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Intanto apprezziamo il ruolo autorevole che sta svolgendo la media semplice a 200 periodi, facendo prima da supporto e poi, con la violazione della stessa, da resistenza.

Inoltre, dopo il breackout dei 65$, i prezzi stanno tentando un probabile pullback sul livello appena violato.

Lo fanno con un pattern, potenzialmente di inversione, di 123 low il cui livello di breackout coincide magicamente proprio con la resistenza dei 65$.

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Se il pattern venisse convalidato e dunque i prezzi riportarsi sopra la resistenza, potrebbe delinearsi un cambio di scenario tecnico, subordinato ad altre variabili da leggere opportunamente in parallelo a quello fondamentale.

Infatti, la successiva tenuta del livello dei 65$ abbinata ad un eventuale contesto di allentamento delle varie tensioni sopra mensionate, potrebbe preludere alla possibilità, non certezza evidentemente, che i prezzi consolidino il livello.

Questo porterebbe beneficio innanzitutto alle aziende petrolifere che, con prezzi mediamente più elevati avrebbero ossigeno per i propri bilanci uniti ad una maggiore capacità di programmare attività ed investimenti.

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